Klodiana Çuka, Integra Onlus: “Ho chiuso 55 case d’accoglienza. E ancora vedo solo demagogia”
Klodiana Çuka è un’imprenditrice e mediatrice culturale italoalbanese. Dopo la laurea in lingue, dal 98 ha gestito lo sportello accoglienza migranti del comune di Lecce, inizialmente come volontaria. Si è impegnata nel sociale con riconoscimenti nazionali e internazionali e ha collaborato con il Cnel. Dopo una militanza in Alleanza Nazionale, nel 2010 è diventata la prima cittadina albanese candidata a elezioni regionali italiane. E nel 2011 fonda Integra Onlus, associazione umanitaria di cui è presidente, e arriva a gestire 55 case d’accoglienza per migranti in diverse regioni italiane. L’anno scorso ha dovuto chiudere tutto. Con i decreti Salvini non c’erano più le condizioni per il Terzo Settore in questo campo. Le banche hanno chiuso i fondi e l’accoglienza è diventata un business. Ma ha detto nella nostra intervista:
Ci possono togliere gli strumenti, ma non la dignità e la speranza.
Noi continueremo sulla nostra strada. Un insegnamento che mi porto scolpito
nel cuore dalla tremenda esperienza della dittatura comunista, dove sono
nata e cresciuta fino a 20 anni e dove ho assistito al martirio della mia famiglia materna.
Si sono recentemente tenuti a Roma gli Stati Popolari, nati dalla protesta del sindacalista Aboubakar Soumahoro. Si può dire che le sue iniziative abbiano portato la discussione sui migranti a un livello successivo?
Certamente sì! Oggi, servono sicuramente in Italia migliaia di Aboubakar, che
ricordino ai governanti che nelle campagne, nelle periferie e nelle città
servono diritti e non solo braccia! Non siamo figli di un Dio minore, i migranti
meritano un altro posto nella contemporaneità italiana. Meritano rispetto e
considerazione per troppi motivi, sarebbe retorico qui ripetere. Ma il grado di
civiltà di una nazione si misura dal trattamento che riserva ai migranti, agli
anziani, ai più deboli, agli ultimi e dalle politiche sociali che attua. Certamente
in questo momento storico in Italia non possiamo andare fieri e l’emergenza
Covid-19, come ogni crisi, diventa semplicemente una lente di ingrandimento
sulle lacune del sistema.
Ci tocca solo aspettare e vedere se gli impegni presi dal Premier Conte e dai suoi Ministri avranno seguito o se finiranno nel calderone delle promesse politiche. Lo stato di fatto è che nonostante sia passato quasi un anno dal cambio di guardia del Viminale, e il Governo abbia cambiato colore, nessun effetto di doveroso cambiamento è conseguito alla stagione politica e legislativa più vergognosa degli ultimi 30 anni in Italia.
Tra le richieste degli invisibili anche quella di abolire i decreti Sicurezza salviniani. Lei che di accoglienza si occupa, da dove ricomincerebbe?
In verità i decreti INSicurezza, non c’è un altro modo per definirli, almeno da
parte mia, hanno sollevato subito dubbi di legittimità costituzionale, perché
violano i trattati internazionali. Andrebbero aboliti in quanto Antimigranti e
AntiUomo! Il caso drammatico della nave Sea Watch 3 è ancora vivo e il
governo italiano ha dovuto rispondere alle dure contestazioni della stessa
ONU, che lo ha accusato di “mettere in pericolo la vita dei migranti”. Il traffico
degli scafisti è criminale, da stroncare con ogni mezzo, ma salvando sempre le
vite umane dei migranti.
Mentre, il tema della sicurezza interna, a discapito della sicurezza
internazionale, sembra l’ossessione prevalente della nostra opinione
pubblica. Il governo “Sovranista-Populista” ha proposto soluzioni facili a
problemi complessi, a colpi di slogan a effetto. Ma la realtà risulta ben
diversa. La maggioranza dei provvedimenti d’urgenza sono rimasti monchi
nella loro effettiva applicazione, anche in aspetti decisivi. E ancora, i cosiddetti
decreti Sicurezza hanno solo peggiorato le condizioni del sistema di gestione e
accoglienza dei migranti: non hanno portato alla diminuzione degli sbarchi né
dei morti in mare, non hanno portato alla riduzione del numero di irregolari,
né del numero dei rimpatri. E tanto meno alla realizzazione della cosiddetta
politica dei “porti chiusi”. Non è successo nulla di tutto questo!
Chi riesce ad arrivare in Italia rischia più di prima di diventare un irregolare,
condizione che alimenta il rischio di attività illegali e la generale percezione di
insicurezza. I decreti hanno paralizzato in modo drammatico la gestione dei
flussi migratori e i processi di integrazione in Italia, come mai era accaduto
negli ultimi 30 anni. Al momento della nascita del primo governo Conte, uno
dei rari dati citati nel Contratto di governo, nel capitolo dedicato
all’immigrazione, era la stima di quanti stranieri vivevano senza permesso sul
territorio italiano. All’epoca erano circa 500 mila. Il dato era corretto. Ad oggi,
secondo le analisi, il numero degli irregolari è
aumentato vertiginosamente, raggiungendo i 750 mila. Il primo decreto
Sicurezza, in particolare, ha letteralmente smantellato il lavoro di 30 anni su
politiche migratorie e integrazione. Il sistema dell’accoglienza andava
rivisto in molti aspetti, ma funzionava e certamente non produceva
clandestini. L’integrazione è un passaggio cruciale per accompagnare i
migranti verso l’indipendenza nel tessuto socioeconomico del Paese
ospitante ed è stata letteralmente abolita.
Altra richiesta, abolizione della legge Bossi-Fini. Cosa ha comportato esattamente nel 2002 l’applicazione di questa legge?
Ricordo bene l’estate 2002. Era l’anno in cui mi diplomavo come mediatrice
linguistico culturale a Roma presso il CIES. Opportunità fortunata, che mi
diede la possibilità di seguire l’acceso dibattito contro la proposta di legge
direttamente da Roma. La Bossi-Fini, oltre che inasprire le regole d’ingresso, e
collegare il permesso di soggiorno a un duraturo contratto di lavoro, inaspriva
l’espulsione degli irregolari. Lo straniero espulso che rientra nel proprio paese
senza permesso commette un reato e viene detenuto in carcere. Una pagina
molto brutta e molto dibattuta, senza alcun successo, non solo per
politiche migratorie italiane dei primi anni duemila, ma per tutto ciò che
concerne i diritti umani.
Mentre per quando riguarda i respingimenti, la legge mirava a fare in modo
che i barconi non potessero attraccare sul suolo italiano e che l’identificazione
degli aventi diritto all’asilo politico, o a prestazioni di cure mediche e
assistenza, avvenisse direttamente in mare. Per questo motivo spesso i
migranti si buttano in mare dai barconi provando ad arrivare a riva a nuoto.
Un’altra schizofrenia riguarda il reato di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina, previsto per chiunque porti in Italia dei
migranti senza un visto d’ingresso.
Un memorabile spiacevole ricordo riguarda l’episodio dell’8 agosto del 2007,
quando i capitani tunisini di due pescherecci salvarono 44 naufraghi
provenienti dall’Africa che stavano per affogare e li portarono nel porto più
vicino, quello di Lampedusa. Vennero sospettati di essere scafisti, subirono un
processo lungo quattro anni, con una prima condanna a più di due anni, 40
giorni di carcere e il sequestro degli strumenti di lavoro. Il nostro Paese ha
processato dei pescatori che hanno salvato vite umane con l’accusa di
favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Ma la Convenzione SAR del
1979 impone sempre e comunque il soccorso in mare e l’accompagnamento
dei naufraghi in un luogo sicuro.
Impegnati a perseguire i clandestini, la politica ha dimenticato invece di
costruire le basi sociali, ma soprattutto culturali, su cui poggiare l’accoglienza
verso i regolari ed il loro inserimento a beneficio della società e dell’economia
italiana. E con l’involuzione della normativa è diventato caratterizzante
l’elemento di continuità nella progressiva trasformazione
dell’immigrazione da fenomeno sociale a fattore essenzialmente
economico. Se irregolari, gli stranieri possono formare quell’esercito di riserva
a basso costo necessario a un’economia capitalistica che affronta la propria
crisi strutturale con l’assalto al costo del lavoro. Triste, molto triste tutto
questo, quando oramai la percentuale dei regolari in Italia ha superato
l’8% della popolazione. Un sottoproletariato che pur contribuendo
attivamente all’economia del Paese, non ha affatto gli stessi diritti dei cittadini
italiani. Ecco a malincuore, cosa possiamo concludere a 18 anni dalla Bossi-Fini.
Ha detto che destra e sinistra alla fin fine fanno demagogia sulla pelle dei migranti e poco di concreto. Secondo lei manca la volontà politica?
Dopo tutti i fatti elencati sopra, paradossali e schizofrenici, non credo che la
mia affermazione possa essere giudicata fuori luogo. L’Italia resta il Paese
delle contraddizioni e dei paradossi, dove la cultura millenaria
dell’accoglienza del “Forestiero”, citata anche dalle Sacre Scritture, si scontra
sempre più con una previsione legislativa restrittiva e miope, che al primo Dl
InSicurezza, ne ha fatto seguire il Bis.
Occorre, invece, un nuovo modello di sviluppo umano e non solo italiano,
ma anche europeo, che tuteli i diritti inalienabili dell’uomo. Ora si impone
un progetto globale e condiviso, che, in primis, rafforzi la rete pubblica di
protezione sanitaria, ma anche con la fase due, quella economica e sociale,
all’interno di un rinnovato Patto Europeo. In particolare, bisogna ridare
centralità al valore della solidarietà, non “una tantum”, ma coniugata con
la sussidiarietà verso il privato sociale, riconoscendo al Terzo Settore un
ruolo non marginale ed accessorio. Esso, proprio ora, sta dando un apporto
decisivo alla lotta al virus, con i suoi oltre 350 mila soggetti che
quotidianamente animano il tessuto del volontariato italiano.
A seguito dei decreti Sicurezza le 55 case d’accoglienza gestite da Integra Onlus sono state chiuse per mancanza di fondi. Ci spiega come vengono gestiti i finanziamenti dell’accoglienza? Chi paga? L’Europa, l’Italia…
Nonostante l’origine primaria dei fondi per l’accoglienza sia europea,
in Italia l’unica possibilità che permette l’avvio dei servizi è il sistema
degli anticipi bancari. Per ottenere quell’anticipo dalla Banca
bisogna presentare garanzie e firmare una fideiussione che compromette
il patrimonio personale dei soci. Nonostante i soldi siano nelle casse della
ragioneria del Viminale, questi arrivano prima presso le Prefetture,
prima accoglienza, e presso il Servizio Centrale. Solo in seguito arrivano ai
Comuni e poi nelle casse degli enti gestori. Ci vuole un minimo di sei mesi, ma
arrivano anche con un anno di ritardo dopo l’avvio degli appalti. In nessun
altro paese europeo esiste l’anticipo delle somme degli appalti da parte delle
banche. Le fatture vengono anticipate per tre mesi, rinnovate per altri tre e al
massimo fino a nove mesi. Poi le banche richiamano a rientrare, facendo
pagare interessi molte volte discutibili.
Integra non voleva assolutamente chiudere le sue strutture, ma siamo stati
costretti. Era insostenibile fare il bancomat per lo Stato italiano, hanno detto i
colleghi di Cagliari. Come era insostenibile non pagare i dipendenti e gli
operatori per mesi, come è successo nelle case di Monza, di Pavia e Lodi.
Insostenibile essere accusati come mal pagatori, nonostante resi insolventi
per colpa dello Stato. Abbiamo incontrato anche dei funzionari che hanno
fatto con zelo e responsabilità il proprio lavoro, ma purtroppo il sistema ha
reso vano anche il loro impegno. Dato di fatto inconfutabile, le Prefetture
ancora devono saldare le somme per i servizi effettuati per il 2018 ed il
2019 e non solo a Integra Onlus, ma anche a tanti altri Enti gestori.
Integra ha scritto varie volte lettere aperte, pubblicate in diverse testate, ha
promosso anche una petizione sui ritardi dei pagamenti, ma proprio per
non essere punti, molti enti gestori preferiscono non alzare la voce. Per tutto
ciò Italia a gennaio del 2020 è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per i
ritardi di Pagamento della PA, tra i primi della lista il Ministero dell’Interno.
Tutto denaro dei contribuenti italiani. Di chi è la responsabilità? Accadrà mai
che qualche ministro o Premier di prenderà il fastidio di esaminare tali
abusi, affinché non siamo più ripetuti?
Ecco perché servono oggi più che mai, migliaia di Aboubakar Saumahoro, per
una pacifica rivoluzione delle politiche migratorie italiane, ma servono prima
di tutto politici italiani coraggiosi che amino veramente il futuro del
proprio Paese e dei propri figli, che cresceranno inevitabilmente in un
mondo sempre più multietnico, perché il Mondo è di tutti noi e gli uomini
non riusciranno a lungo tenerne sbarrati i confini.
Fonte: ildigitale.it