Sono trascorsi vent’anni e le immagini di una strada sventrata dalla furia della mafia ancora scorrono nitide nella nostra memoria. Una tragedia difficile da dimenticare, una strage che lascia ancora molti punti interrogativi in sospeso. Alla luce delle tante perplessità da dipanare emergono ad oggi nuove realtà da chiarire. Realtà ricche di risvolti rilevanti che rimettono in discussione le cause e gli effetti trascinati dalla strategia del terrore che imbavaglia tuttora il futuro di questo Paese.
Prima ancora di essere riconosciuti come eroi, Antonino Caponetto, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo sono stati uomini che non hanno risparmiato la loro vita e non hanno esitato ad affrontare i rischi della lotta alla criminalità organizzata per il bene comune, spianando per primi la strada all’antimafia e rivoluzionando il sistema del Consiglio Superiore della Magistratura.
Non solo il ricordo di uomini che hanno lottato contro il sistema, laddove la cancrena della mafia infestava il Paese servendosi delle stesse istituzioni e andava eliminata alla radice, ma l’esempio vivo dei più alti valori civili che oggi più che mai dovrebbero innervare la nostra coscienza di cittadini attivi e attori della storia nazionale contemporanea.
“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande”, così riecheggiava dai microfoni la voce del giudice siciliano, come se fosse già sicuro del destino a cui andava incontro. Quando l’ideale della giustizia sociale scavalca la paura, la
solitudine, l’ostracismo e la barbarie della violenza, nonostante dagli spari isolati la mafia possa arrivare agli estremi “rimedi” del tritolo, si diventa “inconsapevolmente” interpreti del crollo della legittimità dello Stato.
Da allora, da quelle tracce indelebili di sangue innocente si è innestata una sorta di consapevolezza nel sentire comune della gente: si può e si deve fare di più partendo dal basso, animando il territorio in ambito educativo, coinvolgendo i cittadini in prima persona nella lotta alla mafia. Una compensazione che dà nuova linfa ai principi della Costituzione e afferma la legalità nel tessuto sociale.
Il ricordo della strage di Capaci non può restare fine a se stesso, tanto più se riproposto in una società insicura e alla “ricerca di ordine”, come sosteneva Falcone. Viviamo una situazione parallela, un filo diretto con l’ambiente politico di vent’anni fa: inefficienza delle istituzioni, crisi dei partiti, disoccupazione, recessione e tracollo finanziario. Tutti fattori che destabilizzano un Paese ormai vulnerabile, che si affida al potere della mafia. I diritti che la gente chiede alle organizzazioni criminali devono essere garantiti dallo Stato attraverso l’esercizio della legalità.
È dalla coscienza di ogni cittadino che deve riaffiorare il senso civico e di appartenenza per potersi definire concretamente affrancati dalla malavita. Anche il silenzio uccide, perché lascia passare l’orgoglio, l’arroganza, la prepotenza, la violenza, la mafia. A vent’anni di distanza dalla strage sarebbe forse il caso di riappropriarci della nostra libertà di scelta, una libertà pagata a caro prezzo da Giovanni, Francesca, Vito, Rocco e Antonino, persone capaci di insegnare con la propria vita il senso autentico della legalità.
L’“ossigeno degli onesti” è così che quest’ultima viene definita sul muro della sede del Centro Studi Parlamento della Legalità, organo con cui Integra Onlus collabora da anni per la realizzazione di iniziative a sostegno dell’integrazione di culture diverse. Un valore
condiviso che dà nutrimento a tutti gli esseri umani: che siano immigrati o cittadini italiani, non si può fare a meno del rispetto della sovranità della legge, chiara espressione dei diritti inalienabili di dignità e uguaglianza sociale.
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